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venerdì 13 dicembre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

MEDITAZIONI Quasi una fiaba

di Marco Celati - venerdì 23 febbraio 2018 ore 11:21

Il discepolo seguiva il maestro lungo la salita. Era una bella mattina, l’autunno, appena iniziato, conservava ancora il ricordo dell’estate. Le chiome degli alberi cominciavano ad imbiondirsi, le foglie ad arrossarsi. L’erba riprendeva i campi di verde e il bosco cominciava ad assumere i colori rugginosi di stagione. Cinguettavano uccelli, se ne udiva o intravedeva il frullio. Maestro e discepolo salivano per la strada bianca, verso la radura a mezza collina. La loro destinazione. Una volta giunti si fermarono a riprendere fiato, facendo esercizi di respirazione. Il sole filtrava nello spazio aperto fra gli alberi. Una brezza mattutina soffiava leggera. La natura offriva il meglio di sé. Da quella posizione si vedevano i paesi arrampicati sui colli, s’intuiva la valle ed il corso del fiume. Si sedettero a meditare, con le gambe incrociate e gli occhi socchiusi. Erano venuti apposta. Il maestro, immobile, sembrava una statua di cera. Il discepolo, più inquieto, si muoveva spesso. Con le gambe incrociate avvertiva un certo fastidio in fondo alla schiena. Un formicolio. Ma d’altra parte la posizione era quella. E quel silenzio, all’inizio latore di un senso di pace interiore, alla lunga cominciava a disturbarlo. Fu così che si rivolse al maestro Yoga, questo era il suo nome, interrogandolo.

— Maestro Yoga…

— Mmmm…

— Maestro Yoga, dimmi, qual è il senso della vita?

E il maestro, chiaramente disturbato e riscosso dal suo torpore meditativo, aprì gli occhi e, facendo ricorso al profondo della sua saggezza, rispose a Yari, così si chiamava l’irrequieto discepolo.

— Yari, ce l’hai una domanda di riserva?

E subito si chetò, richiuse gli occhi riprendendo la sua assorta meditazione. Così rimasero ancora a lungo in silenzio. Che il discepolo Yari interruppe di nuovo, interrogando ancora il maestro.

— Maestro Yoga…

— Mmmm…

— Ma che cazzo di risposta è, così sono buono anch’io!

Il maestro Yoga, strabuzzò gli occhi, mostrando una faccia irritata e, contenendo a stento la rabbia grazie ad anni e anni di autocontrollo interiore, replicò a quel discepolo sboccato.

— Yari caro, intanto non dire parolacce e non mancare di rispetto al tuo maestro e poi non fare lo stronzo e smetti di rompere i coglioni. Siamo qui per immedesimarci con madre natura, entrare nel suo flusso energetico e meditare, che fa tanto New Age. E comunque te l’ho data l’unica risposta possibile. Quando ti poni quella domanda sul senso della vita, l’unica è pensare ad una domanda di riserva. E anche alla svelta.

— Scusa maestro, ma proprio tu mi hai sempre detto che non si risponde ad una domanda con un’altra domanda.

— Ed è vero, tranne che a quella sul senso della vita.

— E perché?

— Perché, mio curioso nonché uggioso discepolo, quella domanda non ha risposta. È la domanda più complessa in assoluto e non esistono risposte semplici alle domande più complesse in assoluto, se non assolutamente sbagliate. Questo solo oggi posso dirti: se per senso si intende direzione, allora la vita è un senso unico che va inevitabilmente e necessariamente dalla nascita alla morte. Dopodiché molti credenti credono, se no non sarebbero credenti, che ci sia altra vita. Te credi?

— Veramente no.

— Ecco, allora che te lo dico a fare? Comunque se invece per senso s’intende significato, allora mio caro non c’è una risposta universalmente accettabile e conosciuta. La vita ha il significato che ognuno riesce a dargli, ma potrebbe averne nessuno se non ci riesci. Tra l’altro questo in genere si capisce in fondo, verso la fine dell’esistenza, se non proprio al suo compimento, quando non serve più a niente saperlo. Contento adesso?

— Insomma…

Chiaramente insoddisfatto da quella risposta il discepolo Yari chiese il permesso di sgranchirsi le gambe intorpidite al maestro – che molto volentieri glielo accordò – e se ne andò un po' a spasso per il bosco. Era entrato nel folto della boscaglia quando, nella macchia scura, vide una ragazza bionda, di bianco vestita, che imprecava perché la vestina gli s’era impigliata in una pianta di agrifoglio.

— Buongiorno, serve una mano?

— No grazie, faccio da sola.

— Chi sei?

— Come chi sono? Sono la fatina Pig, protettrice del bosco!

— Una fata?

— Sì una fata, te l’ho già detto, che sei scemo? Te chi sei?

— Yari, piacere. Ma esistono le fate?

— Evidentemente sì, che dici?

— Pig, che buffo nome?

— Bellino il tuo.

— E fai gli incantesimi?

— Non tanto, sono più la custode qui, sorveglio gli alberi, le piante, gli animali, uomini compresi che si addentrano nel mistero del bosco.

— E allora, immagino, sai tante cose, fata Pig. E se ti facessi una domanda?

— Spara.

— Qual è il senso della vita?

— See! Ce l’hai una domanda di riserva?

— Nooo! Anche te, ma allora è un vizio!

— Ma, scusa, che vuoi che conosca della vita di voialtri umani? Siete incomprensibili, venite dalla donna sulla Terra e non rispettate né l’una né l’altra, date il meglio di voi nei momenti peggiori. E poi che ne so io, che una volta ero una maiala?

— Come una maiala, in che senso?

— Nel senso del maiale… Cosa ti credevi? Ero un suino, stavo rosea e pasciuta con i miei simili, poi non so che sia successo: o dopo essere defunta mi sono reincarnata come sto adesso oppure un sortilegio mi ha trasformata in fata.

— Che storia! Però va meglio ora, no?

— Mah! Io preferivo maiala.

— Come?

— Ma perché facevo i miei porci comodi, la mia porca figura. Mi risvoltolavo a piacere e libera nel trogolo, ero bella grassa, responsabilità zero. E ora mi ritrovo qui, guardiana del bosco, come una silfide stereotipata: biondina, occhi azzurri, secca ricucita e con questo ridicolo vestitino bianco che non mi posso nemmeno sporcare e mi s’impiglia da tutte le parti!

— Però prima ti allevavano e poi dovevi morire.

— Come succede a voi.

— Ma te, capace, sei immortale!

— E sai che palle! Confinata qui nella boscaglia per sempre. A spiare piromani, bracconieri e amori furtivi. Nemmeno un po' di shopping in città. L’infinito sarà per i poeti, ma non si addice né agli uomini, tantomeno a maiali e maiale. E nemmeno alle fate. È una tale noia! In fondo la vita senza fine non ha senso, è una ripetizione continua senza direzione, né significato.

— E sticazzi! Chissà cosa ne penserebbe il mio maestro!

— Ma chi, quel vecchio nella radura? Che vuoi che ne pensi, dorme.

— Medita.

— Sì, hai voglia te…

— Forse se t’innamori e baci qualcuno, infrangi l’incantesimo e ritorni com’eri. Forse se ci stai...

— Forse se, già che ci sono, me lo scopo ridivento maiala. È questo che vuoi dire?

— Ma no! Però, in un certo senso... Anzi, se avete bisogno…

— Fai il lumacone con una fata!

— No, no, semmai pensavo alla maiala…

— Screanzato! Ci stai provando con me?

— Ma no, cosa vai a pensare, era per dire. Scherzavo. E poi sei te che hai cominciato...

— Sì, dite tutti così. Comunque è un po’ che mi guardo in giro, ma non me ne va bene uno. E poi chissà se funziona, l’amore è bizzarro, capriccioso direi. Un folletto dispettoso e imprevedibile. Colpisce a caso, va e viene. E più spesso va di quanto viene. Forse se ripassi…

E, dopo queste ammiccanti parole, lasciate in sospeso, la fata Pig, già maiala, seppur selettiva, come per incantesimo si dileguò leggera nel folto del bosco e si confuse nella macchia scomparendo alla vista.

— Yari! Yarii! Yariii!

Il maestro Yoga lo chiamava e lo scuoteva.

— Siamo venuti a meditare, mica a dormire!

— Maestro Yoga! Ho fatto un sogno: ero dentro il bosco e mi è apparsa una fata. Pig, che un tempo era una maiala. Che significa?

— Che il maiale sogna le ghiande. Andiamo, si è fatto tardi, il sole è già alto. Sarà meglio non venirci più qui…

— No, maestro Yoga, bisogna assolutamente tornare!

Ripresero la strada che riportava al parcheggio dove erano le loro auto, in fondo, nel piano, dov’era la città, dov’erano le fabbriche, le botteghe e il lavoro. Facevano ritorno alle loro case e alle loro cose, alla vita che ha il senso, che ha. La direzione e il significato, i sogni ed i pensieri.

Pontedera, 30 Settembre 2017

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati