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RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Jogging

di Marco Celati - martedì 15 gennaio 2019 ore 17:49

Un’aria artica si aggira per l’Europa. E in Italia maltempo si annuncia da nordest, dove anche la Lega infuria e gela il paese. “Mala tempora currunt, sed peiora parantur”. Questo primo pomeriggio però promette bene: cielo terso e un solicchio invernale, già declinante all’orizzonte, ma caldo ancora. Con la compagna andiamo a camminare sull’argine dell’Era per smaltire qualche pasto di troppo delle festività.

Parlo sempre di me, me lo fanno notare che non si scrive così. Potrei girare tutto in terza persona, ma si capirebbe lo stesso che sono ancora io e che non so scrivere. E vabbè. Se per questo, sono anche il peggio vestito di tutti i salutisti che corrono o camminano sull’argine. Troppe maglie addosso, un pile e un vecchio keyway blu, leggero e svolazzante, dei tempi del calcio, che ripara poco dalle folate. Così sudo e il sudore mi si ghiaccia addosso. Ma lo sport è salute. Fitness. Una fitta al cuore la sento, in effetti. Due, anche tre. Numero perfetto. Sarà la cattiva digestione che fa male al cuore. O è il contrario?

La compagna va spedita, agile e giallo vestita, veloce di passo, le arranco dietro ed al fianco. È più giovane e di una specie diversa. Il nostro genere ha caratteristiche recessive, si capisce dalla prostata. La mia consente un’autonomia di due chilometri e mezzo, non male, sono migliorato con gli allenamenti e le pasticche. Dopodiché mi butto di sotto dall’argine e prendo la via dei campi, nell’oliveto dove mi addentro carico di speranza e voglia di liberazione che mi hanno sempre guidato nella vita. Gli abituali cinque chilometri prevedono una sola stazione di posta intermedia, penso la maratona di New York sarebbe molto più di una via crucis.

Ora devo raggiungere la compagna che intanto ha proseguito per non perdere la media. E, siccome il mondo è piccolo e antico, incrocio il mio medico, vecchio compagno di scuola, anche lui salutista pedestre. Deve essere l’età. Potrei dirgli della fitta al cuore, ma faccio lo splendido, non gli voglio dare soddisfazione, e poi per la strada... Così prendo a corsetta, sorpasso e saluto. La fitta dal cuore risponde al basso ventre. Ci deve essere corresponsione e confusione nel corpo umano, specie maschile. Per questo a volte in amore, se proprio il cuore era indeciso o indisponibile, si poteva supplire con altri organi. Ah, gioventù, gioventù, quella sì che corre e non torna più! Corro verso la compagna che mi tiene in vita.

Non mi ricordo più l’ultima volta che mi sono divertito, forse quarant’anni fa: l’ultima partita a pallone, un sabato. O una domenica che fosse. Ma il male non è questo, che rimane un problema mio, il peggio è che non sono divertente e divento francamente insopportabile. Perché qui sull’argine dell’Era io sono di un’era che per dire l’anno passato, peraltro da poco, si diceva «orel’anno». E anche «mi par miglian di morì’» per indicare che la vita è perfino troppo lunga -l’ho sentito dire a mio padre- o forse per esorcizzare la morte. Si andava in biciretta e il buio era oltre la scepre.

Incrociamo uomini e donne in compagnia dei loro cani, in genere c’è somiglianza fra le razze. Un ragazzo va libero, deciso, e il suo cane curiosa qua e là, spavaldo, e si mangia tutti i fazzoletti di carta che trova per terra. Poi caca: economia circolare. Una donnina anziana, intabarrata, è seguita da un piccolo cane, avvolto in un maglioncino di lana: camminano lentamente nel vento che viene.

La compagna viaggia nel centro dello stradello arginale, sul ghiaino. Io preferisco la parte erbosa, ai margini. Mi ricorda le campestri da ragazzo, gli allenamenti a scuola, quando il professore diceva che bisognava “farsi il piede”. Il passo è più morbido e silenzioso, ammortizzato dall’erba. Devi evitare le storte, guardare avanti, ma valutare anche le insidie del cammino e soprattutto stare attento alle merde. Che ce ne sono. Alle fatte dei cani, voglio dire. Ma voleva essere una metafora della vita. Una cattiva metafora.

Ho il cappuccio della felpa tirato sul capo, ma qualcuno che mi conosce o crede, mi saluta e mi chiede «come va?». Che domanda difficile. Impossibile risposta. «Resisto», in genere dico. Chissà se resto simpatico, la compagna dice di no, che è detestabile come risposta. Anche fra noi parliamo poco. Pure a lei non piace come scrivo, anzi non piace proprio che scrivo.

Sia lode ai grandi pioppi stecchiti dall’inverno con i tronchi chiari, striati, che lungo l’argine segnano il cammino. Benedetto sia il tappeto di foglie sull’erba cupa, nell’ombra del sole al tramonto. E alla curva del fiume e al canneto, sia reso grazie. La bellezza della natura ci sovrasta. La compagna si ferma per prendere delle foto con il cellulare che segna il tempo, le calorie, il percorso, la velocità e dice sei chilometri all’ora. Poi si scarica. Più che velocità, lentezza. Sia lode alla lentezza.

Sull’Era c’è ancora la cascatella dove andavamo da ragazzi a giocare e Nicola perse un sandalo: se ne andò via galleggiando sulla corrente come la sua vita. E prima eravamo stati alla Cartiera nel tonfo profondo del fiume dove i più grandi si tuffavano in mutande, con le canottiere ingrigite dagli anni e dai bucati venuti male. Un ragazzo si perse, nel fondo traditore del fiume. I fiumi e la vita hanno di queste tragedie.

Poi a casa, il rifugio e la doccia. Uno dei miei fratelli mi ha regalato una specie di sasso piatto, rotondo e scuro che ha poteri speciali. Io gli dico ok, Google -si chiama così- e lui si accende. Allora gli chiedo metti un po’ di musica. E lui mette musica malinconica, ha capito il tipo e i gusti. Allora gli faccio ehi, Google -è diventato il nostro intercalare per entrare in sintonia- che tempo fa? E lui mi dà la temperatura locale e mi dice se è nuvolo o se pioverà. Così gli dico ehi, Google, grazie. E lui risponde grazie a te, è un piacere vedere riconosciuto il proprio lavoro. Altre volte si limita a un più sintetico non c’è di che o a un più sbrigativo prego. E sono soddisfazioni! Gli ho anche chiesto di raccontami una barzelletta e lui mi ha detto sai cos’è l’azoto? L’ultima lettera dell’alfaboto. Un mattacchione! Trasmette la radio e le notizie del giorno. Mette in pausa o spenge la tivvù, se sono sintonizzato sul programma con cui l’ho installato. Ho letto nelle istruzioni che, se mi organizzo con i dispositivi adatti, può anche accendere e spegnere le luci o regolarle.? Intanto, a suo modo, mi tiene compagnia.

Così lo porto in bagno e gli chiedo musica, per favore, e il volume giusto e lui, disponibile, esegue. Una canzone dice «todo aquel/ que piense que la vida es desigual, / tiene que saber que no es asi» perché «todo aquel que piense/ que la vida es cruel,/ nunca estara solo,/ Dios esta con el». E vaja con Dios! Il nuovo bagno schiuma è odoroso e buono. Altro regalo di Natale. Sono essenze minerali del Mar Morto. Speriamo bene.

Marco Celati

Pontedera, 2 Gennaio 2019

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Celia Cruz, “La vida es un Carnaval”. Foto e rielaborazione pittorica dell’autore.

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati