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RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Cosi è la vita

di Marco Celati - lunedì 08 febbraio 2016 ore 07:00

Il cielo è buio, non ci sono astri a rischiarare la terra. Quale presagio si cela in questa notte illune? Cos'è che ispira i poeti laureati e gli scrittori illustri? Esiste qualcosa che si chiama "ispirazione" e da cosa o da dove proviene? Dall'anima? Dalla mente o dal cuore? Dal sapere o dall'istinto? Dall'indole o dalla natura? O da qualche altro luogo o circostanza, da un altrove che ci inventiamo al limite della genialità e della follia? Oppure forse per scrivere o creare bisognerebbe più semplicemente prestare attenzione alla vita, finanche spiare la vita degli altri, anziché leggere sempre e solo dentro di noi? Quel niente o quel poco che in noi giace, alberga o dimora. Chi può dirlo, chi può dirlo? Con questo incipit vagamente shakespeariano mi accingo al racconto che segue.

Metto in fila i pensieri che non fanno un racconto, anzi ne frammentano il senso. I pensieri si affastellano nella mente, a volte parlano al cuore, a volte no. Vengono da dentro se sono triste o allegro e da fuori se piove o se è bello. Vengono da cosa leggo o scrivo, da ciò che conosco o invento. Vengono e se ne vanno, sedimentano ricordi e dai ricordi sono alimentati. Tutti insieme non fanno una vita o una storia, ma ne fanno parte.

I miei figli per Natale mi hanno regalato il cofanetto con la serie completa, le tre stagioni, di un serial televisivo americano che si chiama "House of Cards, gli intrighi del potere", magistralmente interpretato da Kevin Spacey e Robin Wright nelle parti di Frank e Claire Underwood. Vi si narra dell'irresistibile ascesa alla presidenza degli Stati Uniti d'America di un deputato democratico, spalleggiato da sua moglie, un'algida aspirante first lady. Il tutto condito da cinismo e bramosia: niente viene escluso, nemmeno il delitto, per il conseguimento dell'obiettivo. I valori restano sullo sfondo, come le lapidi con le frasi Roosvelt o i ricordi di Kennedy: il pragmatismo e la realpolitik sovrastano il sogno americano e finiscono per soffocarlo. Come finiscono soffocati i sentimenti e le passioni. Una frase significativa? "Il cuore offusca la mente quando tutto il sangue confluisce in lui", episodio 24. Interessante ed attuale il contrasto evidenziato dal programma "American Work", secondo le ambizioni del neo Presidente una sorta di sostitutivo del "New Deal": creare nuove occasioni di lavoro a scapito della previdenza. Le differenze politiche tra democratici e repubblicani sfumano, nel palazzo tutto è compromesso: "non si può andare da un no a un sì senza un forse nel mezzo". E si capisce che per raggiungere uno scopo, assicurarsi e mantenere il potere, la verità abbia una forza dirompente, quasi quanto la menzogna. E tutto per il consenso, a tutti i costi, senza esclusione di colpi: la democrazia è così sopravvalutata... Mi sono sempre occupato di politica e di società: per fortuna sono un asociale.

Forse, se avessi seguito i miei sogni, invece di rincorrere o assecondare, a volte perfino sostenere e guidare quelli degli altri, la mia storia sarebbe stata diversa. E invece eccomi qua, questa è stata la mia vita e ora posso solo consentirmi un bel po' di rimpianti, volgendo indietro lo sguardo al sentiero percorso. Ma in fondo rifarei tutto, errori compresi.

Sono stato un personaggio pubblico che scriveva in privato. Ora sono un personaggio privato che scrive in pubblico. Che ve ne farete di me?

Scriveva Leigh Hunt, un romantico inglese: "Dì che sono stanco,/ dì che sono triste,/ dì che salute e soldi mi hanno abbandonato,/ dì che sto invecchiando, ma aggiungi,/ che Jenny mi ha baciato”.

Sono stato un amore privato che non è mai diventato pubblico. Che te ne farai di me?

Vita e letteratura non sempre vanno d'accordo, alla fine ha ragione Giovanni Giudici quando conclude "La vita in versi" così: «Inoltre metti in versi che morire/ è possibile a tutti più che nascere/ e in ogni caso l'essere è più del dire». Amen.

Con alcuni amici e compagni, che nella vita si sono impegnati in politica e nelle istituzioni, ci incontriamo a volte e facciamo delle nostalgiche e divertenti rimpatriate. Siamo il club degli emeriti o dei comunisti, perfino dei vendemmiatori perché a settembre ci troviamo in molti alla vendemmia di un parente volterrano del principe Albert da Palaia e diamo una mano. Chi più vecchio, chi più giovane, siamo stati la generazione di una stagione e di una vendemmia diversa; oggi il gradimento della politica fra gli italiani, secondo il sociologo Ilvo Diamanti, è sceso al 5%. Però dice non ci sono più comunisti e compagni come un tempo! Non è vero. Leggete questo messaggio, trovato in bottiglia: «La sua struttura decisa, ma fine ed elegante, i suoi particolari profumi che richiamano la mandorla amara e la pesca matura, la sua freschezza lo rendono "compagno" di tutti i piatti di mare e di formaggi freschi». Onore al "compagno" Greco di Tufo, reclutato ala Coop. Lunga vita! Una discreta vendemmia anche questa, in fondo.

Da cosa si capiva che eravamo nel pieno della gioventù? Dal fatto che, vincendo la vergogna e il rossore delle guance, andavamo in farmacia a chiedere, a bassa voce, una confezione di profilattici per il sesso e i suoi problemi. Poi il progresso ci sollevò dall'imbarazzante incombenza, disponendo distributori automatici pubblici da cui potevamo privatamente attingere alla bisogna, quando l'amore e la fortuna ci assistevano. Le poche volte.

Da cosa si capisce che siamo entrati nel pieno della vecchiaia? Dal fatto che non ci vergogniamo più di andare in farmacia a chiedere, senza nemmeno abbassare tanto la voce, una confezione di pasticche per la prostata e i suoi problemi. Presto lo faremo anche per i collanti vari da usare per le protesi dentarie per cui ora, più anonimamente, ricorriamo ai supermercati: si scrive "protesi dentaria", ma si pronuncia "dentiera". Sarà più comodo alla fine rifornirsi dal farmacista o, purtroppo per noi maschietti avanzati, dalla farmacista di fiducia. Solo una cosa, un suggerimento alle case farmaceutiche. Ci sono farmaci dal nome assai poco indicato: lo dico per loro, per le vendite, non solo o non tanto per noi, oramai. Uno di questi è il "Prostamol", assai in voga nella pubblicità che passa alle ore dei pasti e asseconda i bisogni, in tutti i sensi, di una società che invecchia sempre di più: uomini e donne, incontinenti che si pisciano addosso. Si tratta di un integratore alimentare a base di Serenoa Repens, una pianta subtropicale, chiamata così in omaggio al botanico statunitense Sereno Watson, che, è scritto nel "bugiardino", contribuisce alla funzionalità della prostata e delle vie urinarie e va a ruba tra i maschi della terza età. Tra l'altro pare funzioni anche per la caduta dei capelli e questo avrebbero dovuto dirmelo prima. Unica controindicazione sembra essere il colesterolo, ma di qualcosa si vive e di qualcos'altro si muore e tra le due cose spesso c'è relazione. Comunque farà bene, può darsi, senz'altro, ma mai nome fu tanto sbagliato. "Prostamol", sa di ventre molle, di sesso debole, il maschile appunto, dice di una prostata molle e allentata. E se fosse invece, con visione più ottimistica, "Protafort"? Sembrerebbe un ricostituente qualsiasi. Buongiorno vorrei Multicentrum e Prostafort, pastiglie. Meglio, no? A volte basta poco. Così va la vita e servirebbe un piccolo aiuto.

Oggi il progresso del mondo sembra ripiegare a causa di un distorto equilibrio tra ricchezza e povertà, tra risorse e natura. La pace è precaria. Il terrorismo, sedicente islamista, incombe. Sarebbe un mondo meraviglioso se non fosse terribile. Secondo molti, anche secondo Papa Francesco, è in atto la terza guerra mondiale, nel senso che sono aperti conflitti in varie parti del mondo che coinvolgono continenti, nazioni e Paesi. Solo non noi. Noi assistiamo a queste guerre e carneficine comodamente seduti in poltrona oppure mentre pranziamo o ceniamo e distogliamo lo sguardo o cambiamo canale: un rassicurante programma culinario, magari già visto e stravisto, si trova su qualunque emittente. Siamo distanti e la distanza crea indifferenza. È come un macabro video gioco, non sembra vero, anche se sai che lo è. Se proprio ci sentiamo in colpa inviamo due soldi per qualche causa nobile, premendo un tasto o due del cellulare. E va bene così. Una versione 2.0 della carità, intesa come elemosina, non come amore o solidarietà. Del resto che possiamo fare? Oggi l'indifferenza è la cifra del vivere di chi, in qualche modo può. E l'indifferenza si pasce di populismi, di demagogia e di crisi e forse, anzi senz'altro, anche del mio compassionevole moralismo.

Purtroppo non sono andato a vedere "Irrational Man", l'ultimo film di Woody Allen, presentato a Cannes, che riproduce ancora una volta, con la leggerezza e la superficialità americana, i temi della profondità e pallosità russa contenuti in "Delitto & Castigo" di Fëdor Dostoevskij che non ho letto e non leggerò. E questa è una cattiva inclinazione della mia ignorante incultura, ma almeno non è una recensione.

Uno dei miei figli ha deciso di passare la fine dell'anno con la sua ragazza a Barcellona, splendida, antica e moderna città. Benissimo. Ha un gatto di nome Lucio che mi ha dato in consegna con lettiera, e mangime. Ho chiesto, fa danni? La mia casa è un museo di ammennicoli vari, inutili catalizzatori di polvere, ereditati da precedenti esistenze: non solo le mie. Ruba la carta igienica, mi ha risposto. Si è sempre saputo che i gatti sono bestie pulite, gli ho detto. Ci gioca. Ah, ecco! E così, per queste feste, sono stato con Lucio, un simpatico gattino dal pelo nero con zampe e pettorina completamente bianche, buffo, bello e beneducato, molto affettuoso. Ha ispezionato con circospezione la casa e poi si è assuefatto all'ambiente e alle mie abitudini. Quando andavo via gli lasciavo il cibo e l'acqua nelle sue ciotole e una luce accesa. Anche se i gatti al buio ci vedono meglio di noi, mi dispiaceva lasciarlo nella penombra esistenziale della mia abitazione. A sera, al mio ritorno, si affacciava da cima alle scale, mi veniva fra i piedi e faceva le fusa. La notte mi dormiva addosso e pretendeva di mettermi le zampe al collo facendo le paste, un retaggio, pare, dell'allattamento, quando per far uscire più latte i mici premono sui capezzoli della madre. Mi sono sempre piaciuti i gatti: animali indipendenti e non servili. Fedeli e infedeli, selvatici e domestici in giusta misura. Gli ho comprato dei giochi: un topo grigio di stoffa, che trascinava per le stanze, sembrava il divertimento migliore. E poi la mia cintola, agitata a mo' di serpente, che puntava e a cui dava la caccia. Il giovane Lucio è appassionato di TV che vedeva, accovacciato come me, sul divano: oltre ai documentari naturalisti, gli piacciono i cartoni animati. Invece per "House of Cards" non mostrava grande attenzione: anche tra le giovani generazioni feline e la politica non c'è molto feeling. Un giorno, probabilmente annoiato per la solitudine forzata, si è accanito con la borraccina finta che stava dentro un vaso di una pianta di ulivo, altrettanto finta e cinese e, per la mia gioia, l'ha sparsa per tutta la casa, per fortuna composta di sole tre stanze. Per toglierla dai tappeti ho imprecato, urlando cose irripetibili. Lucio, Lucio combina guai! Poi è tornato mio figlio. Com'è andata? Tutto bene. Vengo a riprendermi il gatto. È così il micio è tornato a casa sua. Sono di nuovo libero, niente più incombenze, niente più cose da spazzare, granelli della lettiera sparsi per casa. Ma sono rimasto solo. Lucio mi aveva fatto compagnia in questi giorni. Condivido il rispetto per la natura e il mondo animale, so che spesso la più bestia di tutti è proprio l'uomo, basta pensare agli esperimenti nucleari in Nord Corea e non solo, ma sinceramente non ho mai apprezzato l'amore sviscerato per gli animali di tanti, anche giovani, che magari hanno meno a cuore le sorti degli esseri umani. Però capisco quando parlano di "pet therapy". Comprendo perché molti si circondano di bestiole. Perché sono soli, siamo soli dentro le nostre affollate vite.

Stamani piove, la pioggia lava la mente, rasserena e predispone l'animo alla giusta tristezza; ne approfitto per scrivere e completare questa sequela inconcludente e senza costrutto di pensieri alla rinfusa. Mi piacerebbe avere fatto questo nella vita e averlo potuto fare senza necessariamente sentirmi colpevole di non aver lavorato. Un amico, Maurizio Castellani, ha scritto e pubblicato un libro, "La ventiquattrore". È un giallo con ingredienti tipici di un racconto di Malvaldi. Funziona. Ci potrebbero essere meno battute, Maurizio è un efficacissimo raccontatore di buffe storie, ma tra raccontare e scrivere c'è differenza. Ci potrebbe essere più pathos, ma funziona. Il plot è efficace, si legge bene, è ben scritto. Con un interessante espediente narrativo che crea divertenti contrappunti: in terza persona l'autore svolge il racconto e in prima persona il protagonista esprime, in corsivo, il proprio pensiero. Il Castellani è un geometra, architetto: progetta e costruisce abitazioni e non solo. Chi avrebbe mai detto che la sua genialità fosse così versatile? Ma lui mi ricorda che da giovane aveva recitato, voleva fare l'attore finché suo padre, un uomo simpaticissimo, lo dico sul serio, non lo richiamò alla dura realtà, tagliandogli il sostentamento. Studia, bimbo, che testa n'hai! Ed aveva ragione.

Ecco è questo: ognuno di noi avrebbe voluto fare chissà cosa, essere chissà chi, trovarsi chissà dove, ma siamo restati qui, abbiamo fatto ciò che abbiamo fatto e siamo stati chi siamo stati. Poco? Nulla? Può darsi, ma così è la vita.

Treggiaia, 5 Gennaio 2016

Marco Celati

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