GLI ULTIMI - Le babbucce
di Marco Celati - venerdì 08 aprile 2016 ore 00:18
Era un marocchino, un maghrebino. Veniva dal Maghreb, dicono gli intellettuali, che vuol dire, l'ho letto su Wikipedia, "luogo del tramonto". Altro non ricordo: come si chiamava, chi era. Magari chi era lo sapevo: era un uomo povero, alto, segaligno, sdentato e purtroppo dedito al bere. Non dovrebbero per la loro religione. Anche noi non dovremmo fare tante cose. Lui beveva e diventava molesto, aggressivo. Rompicoglioni, insomma ed era dir poco. Stava in una roulotte abbandonata, in un paese vicino con un connazionale più basso e più in carne, ma anche lui povero in canna. Penso vivessero di espedienti. Clandestini tutti e due. Piovuti qua in cerca di una vita diversa, ne avevano trovato forse una peggiore. Anche per loro colpa. "Africa Insieme" un'associazione solidaristica di volontariato li assisteva, con aiuti e cercando i mezzi e le forme legali per un loro inserimento.
Il segaligno lo conoscevo di più, mi stava simpatico, non ho mai capito perché, ma non ci deve essere necessariamente un perché per l'empatia. È quando manca semmai che ci si deve preoccupare. Almeno a leggere Hannah Arendt. Bastava stargli un po' a distanza perché la fiatata era di notevole gradazione alcolica. Allora io ero ancora astemio. Che tempi! Mi chiamava "papa", ma a vederlo sembrava lui il mio babbo, anzi mio nonno. Ma forse era più giovane di quello che sembrava e forse anch'io sembravo meno vecchio di quello che ero.
Un giorno mi dissero che aveva litigato o che era caduto, insomma l'avevano portato all'ospedale per accertamenti. Era ricoverato. L'associazione gli dette un pigiama, non aveva niente. Io andai a trovarlo e gli portai le mie pantofole di casa. Salam alaikum, ti ho portato le babbucce, noi le chiamiamo cosi. Mi ringraziò: Alaikum salam, grazie papa, grazie, Inshallah. Era sobrio, lo stavano curando. Dopodiché non ne seppi più nulla e con tutta la mia simpatia ed empatia non me ne informai più. La vita scorre e la lasciamo scorrere, perché è così che va e non c'è necessariamente un perché, anche se questo ci dovrebbe preoccupare. Non so se lo rimpatriarono o se se ne andò da qualche altra parte. Non so se ancora vive. Non lo vedemmo più.
Qualche anno dopo in ufficio si presentò una persona. Io non c'ero. Un marocchino mi dissero, mi voleva ringraziare, non importava disturbare, mi voleva lasciare solo un regalo: lasciò infatti un pacchetto, avvolto con della carta, e se ne andò. Trovai il pacchetto sulla scrivania, lo aprii: c'erano un paio di pantofole arabe di quelle con la punta all'insù! Non seppi mai chi fosse il donatore, né per cosa mai mi dovesse ringraziare. Chiesi in segreteria, ma non era il "mio" marocchino, la descrizione non corrispondeva per niente. Ma chissà per quali vie misteriose il poco bene che facciamo al mondo, dal mondo in qualche modo ritorna a noi.
Marco Celati
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Pontedera, 20 Febbraio 2016
Questo racconto e gli altri, accomunati nella miniserie "Gli ultimi", non sono frutto della mia fantasia, ne ho poca, come ho poca memoria e quindi qualcosa mi invento per riempirne i vuoti. Ma sono fatti veri, o perlomeno che mi sono accaduti. Il riferimento ad Hannah Arendt è per "La banalità del male". Beati gli ultimi...Se i primi, o presunti tali, sono onesti. Inshallah.
Marco Celati