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venerdì 13 dicembre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Il servizio

di Marco Celati - domenica 21 novembre 2021 ore 07:30

Ho servito il mio paese. Avessi servito la mia vita, come ho servito il mio paese! Adesso mi resta di contemplare l’autunno – che esista o meno la stagione – e il mio desiderio sarebbe confondermi tra le foglie rugginose degli alberi, prima che cadano. Le vedo, davanti al terrazzo di casa, ondeggiare nel vento, danzanti. E, quando cadranno, cadere anch’io, dimenticarmi ed essere dimenticato. Il mondo è carico di malinconica bellezza! Invoco il diritto all’oblio e il riposo dei pacifici combattenti delle cause perdute. Manomettano pure la nostra memoria senza complimenti, i giudici ingiudicabili: noi, imperdonabili, abbiamo servito il paese. E ci aspetta il riposo.

È stata una lunga stagione e non ci siamo risparmiati. Critici e detrattori non sono mancati. E così gli entusiasti. Ad onor del vero – se c’è ancora un onore nel vero – sarà stato senza infamia né lode il servizio reso, al meglio di come sapevamo o potevamo. Abbiamo militato fin dagli anni ‘60, seguito e incoraggiato i moti che nel mondo rivendicarono rivoluzioni o innescarono aspettative di cambiamento e progresso. Eravamo giovani e pieni di speranza, come i ragazzi di oggi impegnati per l’ambiente. Noi lo fummo per il sociale. Presentammo il conto ai padri. Chi di noi si confrontò con le istituzioni e la politica partecipò ad un movimento generale, uno scatto in avanti della ruota del mondo. Dell’epoca, forse della storia. Processi lunghi. In America per la fine della guerra imperiale e del razzismo, nei paesi dell’Est per primavere di democrazia. In Europa per lo Stato Sociale. Che allora non era un complesso. In Italia per le riforme civili e del lavoro e una società non classista. Ovunque per lo svecchiamento culturale e dei costumi, mentre ascoltavamo una musica nuova e soffiava un vento di nuove libertà.

Chi invece eluse il confronto politico scelse di restare sull’albero a cantare oppure finì per essere cambiato dal sistema che voleva cambiare e che poi, per la verità, inglobò tutti noi. E ci fu chi, peggio, seguì la strada minoritaria, nefasta e plumbea del radicalismo violento, con tutte le infiltrazioni che seguirono. Pur nella tragica urgenza del pianeta, anzi, proprio per questo, gioverà rifletterci, ragazzi che presentate il conto più severo, quello del futuro, perché la gioventù fugge con il suo ardore e restano le cose con il loro disincanto. È vero che non c’è un pianeta “b”, un pianeta “bla-bla-bla”, ma la politica e i suoi rappresentanti governano paesi e popoli, condizionati o sorretti dalle economie. Così è dai tempi di Pericle. Ci saranno però modi migliori di farlo: giusti, liberi ed uguali, rispettosi della Terra, dopo duemila anni, bisogna ancora divenire.

Talora capita di ritrovarci, vecchi militanti. Ci riconosciamo, sempre in meno, più stanchi e delusi. Rassegnati. Reduci. A volte in fuga da tutto o da noi stessi. A volte di noi stessi alimentando il mito. Consegnati agli anni che ci videro credere ed amare. Ed anche obbedire alle disposizioni degli eventi. All’apparenza inconsapevoli che il tempo è fatto per passare, rievochiamo antiche cicatrici, conquiste e sconfitte riportate sul campo. Esaltazioni provate ed onte subite. Autunni caldi. Occupazioni, scuole, fabbriche. Studenti ed operai. L’anatema di Pasolini. Per scivolare in fretta ai saluti, agli arrivederci e agli addii che saranno definitivi per molti. Gli ultimi, forse: s’è fatto tardi, è già ora d’andare. E poi non c’era amicizia tra noi, oltre l’essere compagni; pochi ne ho trovati felici.

E allora, deposte volontà di potenza, abbandonate soverchie illusioni, evitate, senza successo, patetiche retoriche, curate le ferite, dismesse le divise – l’eskimo d’ordinanza verde militare – rimesse le consegne ricevute, ci affidiamo al tempo: che faccia di noi quello che vuole. Ciò che è in serbo del caso o del destino. Siamo irrimediabilmente vecchi. Tutto si può “storicizzare”, chissà se anche le colpe, gli insuccessi e i fallimenti. Il dubbio se fosse stato meglio studiare di più e “ingaggiarsi” di meno a qualcuno viene, ma è un momento, uno di quei rimorsi o rimpianti che la vita presenta e poi passa. È stato così e tempo non ce n’è più, le nostre malinconie ce le portiamo dentro.

Alla fine gli errori restano, molte cose andranno perse o saranno cura e dovere di altri. Ho ricercato una casa non mia. Un terrazzo su un’agorà di auto, di giovani vocianti e alberi impollinatori dalle foglie caduche e contemplo i colori dell’autunno. Osservo le piogge uggiose e quelle devastanti. Mi addormento ascoltando temporali: registrazioni di un computer domotico. Ho riassegnato un ordine alla vita. Difficile seguirla: altre incombenze, scadenze, necessità. Cure, affetti. Ogni cosa è diversa, in abiti civili. Per niente semplice ritrovarsi, farsi una ragione, evitare o tamponare nostalgie. Tutto con gli anni diventa diverso. Ma abbiamo servito ed è quanto basta. Dall’aristocrazia escono re, gli autocrati dall’oligarchia, dalla democrazia demagoghi, dal popolo i tribuni della plebe. Incombono comunque i tiranni nel corso della storia. Perfino dai giovani escono i vecchi. Ma la democrazia è la scelta migliore e va sorvegliata. Ho servito il mio paese e va bene così. A volte sono stato carente, sprezzante, altre sensibile. Il popolo ha bisogno di poesia come del pane. E del pane come delle rose. Sfornate pane, coltivate rose, componete poesia, servite il paese, classi dirigenti! Voi che restate e quelli che verranno.

Marco Celati

Pontedera, Autunno 2021

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Che il popolo ha bisogno di poesia come del pane, lo ha detto, a ragione, Simone Weil. Vogliamo il pane, ma anche le rose” era lo slogan delle operaie dell’industria tessile nello sciopero del 1912 a Lawrence, negli Stati Uniti. Personalmente nel ‘68 non ho mai avuto un eskimo verde militare: sono insofferente alle divise e poi non avevo il fisico, mi stava largo e sgualcito. Tornava male, era inelegante. Comprai un eskimo verde più tardi, dopo il riflusso, nel negozio di un marchio alla moda. A dimostrazione che il tempo non passa invano. Lo hanno portato anche i miei figli a cui l’ho passato, nei corsi e nei ricorsi. Ora sta logoro, consumato nelle maniche e odoroso di naftalina, appeso nel ripostiglio di casa. Non so perché lo conservo. Forse per ingannare il ricordo di un’epoca. E di chi sono o non sono stato.

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati