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venerdì 13 dicembre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

I bolidi

di Marco Celati - martedì 08 ottobre 2024 ore 07:15

L’infinito è un otto sdraiato. Se la prende comoda, ha tutto il tempo. Visto dall’alto era come la pista dei bolidi della Fiera di San Luca. C’era un passaggio sopraelevato all’incrocio dell’otto e, sopra, sotto e in curva, le macchine giravano veloci e di continuo, fino a quanto duravano soldi e contromarche, e per tutta la durata della Fiera. Che allora si faceva in Piazza Garibaldi, davanti alla scuola. I bolidi erano ferraglie scomode e pericolose, dovevi stare attento a raddrizzare lo sterzo dopo le curve e evitare gli scontri, perché ci lasciavi le gambe, ti troncavi la vita e ti schiacciavi il naso sul cruscotto. Andare sui bolidi voleva dire lasciarsi alle spalle la giostra dei dischi volanti e anche gli scooter, le macchinine autoscontro con il bordo di gomma, voleva dire essere più grandi. La mia generazione la patente di guida l’ha presa sui bolidi. Altro giro, altra corsa veloce! E noi correvamo in pista a prendere le macchine migliori. E, anche se erano ferri scassati, erano il rischio, la confusione, la velocità, il caos. Mettevamo da parte i soldi per lanciarci in quella prova di ardimento e di futuro. I bolidi erano il nostro otto volante, il nostro infinito.

Perché il concetto di infinito affascina, ma inquieta e, crescendo -anche se crescendo s’impara un bel niente- mi sono fatto arbitrariamente persuaso che l’infinito nasca dal disordine delle cose. E mettere ordine nell’infinito penso sia impossibile. Sarà perché associo l’infinito all’universo più che alla matematica. E chissà se anche la matematica sia la scienza dell’ordine o del disordine. Ci vogliono passione per i cieli stellati e talento per il pensiero astratto, per svariare dal cosmo alle particelle elementari. Ci vuole un bel fisico! Quanto alla vita e a ciò che serve sapere per vivere, o provarci, la vita non è infinita, non è l’universo, né la matematica, ma di sicuro è disordine. Sui bolidi c’andavo con un amico, perché bisognava salire in due, guidando a turno, se no si era troppo leggeri per gli urti, ma alla Fiera non sono più venuti, la Fiera si è trasferita e anche il mio amico se n’è andato, dopo un’ultima corsa veloce.

Il tempo è relativo, ma è fatto per passare e insieme a lui passano le cose e le persone. Altri sopravvivono. Guardarmi allo specchio non è più riconoscermi. È scrutare il grigiore degli occhi socchiusi, provare senza successo un sorriso, scorgere l’ennesima piega degli anni sul volto, come un’increspatura spazio-temporale. Davanti a me non c’è il ragazzo che ero, ci sta un uomo calvo, sconosciuto, con questa barba imbiancata di apostolo inaffidabile, di santo peccatore. Un vecchio, perché non dirlo? Non sono più chi sono stato e, in fondo, è giusto così.

“Ha raschiato a dovere la carta a vetro/ e su noi ogni linea si assottiglia./ Pure qualcosa fu scritto/ sui fogli della nostra vita./ Metterli controluce è ingigantire quel segno,/ formare un geroglifico più grande del diadema/ che ti abbagliava”. E se Montale ha bisogno di evocare un geroglifico per dire, a noi non basterebbe tutta la Stele di Rosetta. Che, se forse non ci risulterebbe così oscura -geroglifici e pittogrammi, ancorché elaborati, hanno un che della curiosa e vivace infanzia della storia- sarebbe per noi sostanzialmente indecifrabile.

Comunque, qualunque sia la nostra traduzione, l’amoroso odio verso la vita o della vita il doloroso amore, sono la stessa cosa con sfumature diverse, diversi punti di partenza con un identico arrivo. Catullo e Saba si rincorrono nel paradiso dei poeti. O sarà un inferno? No, non credo, tuttalpiù si tratterà di un purgatorio, peraltro già scontato per nostra grazia ricevuta. I poeti, anche gli estinti, anzi, soprattutto gli estinti, intercedono per noi. Più frequentemente degli scrittori e diversamente da loro, sono maggiormente consacrati da morti, che da vivi. Non ci salvano, né ci condannano. Ci presentano la vita. Non necessariamente ce la spiegano, ce la ricordano. Il loro tempo è infinito perché hanno saputo infinitarsi. E allora bisogna immaginarseli, Catullo, Saba, Montale, gli altri, e anche quel mio amico: tutti in pista, sui bolidi della Fiera!

Marco Celati

P.S. La poesia di Montale citata e saccheggiata è “Gli uomini che si voltano”, dalla raccolta “Satura”, 1971. Sarebbe lungo e comunque incompleto l’elenco di poete (diamo retta a Cecilia Robustelli, linguista e concittadina) e poeti che mi piacerebbe immaginare sui bolidi della Fiera. Mi sono limitato a quelli rammentati nel testo.

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati